Rivoluzione sessuale…e poi?
«La rivoluzione sessuale non ci ha liberati, la Chiesa sì», ha titolato “Famiglia Cristiana” pubblicando un’approfondita intervista a Thérèse Hargot, sessuologa e insegnante di origine belga di 33 anni che sta facendo discutere con il suo libro “Una gioventù sessualmente liberata (o quasi)”, edito da Sonzogno.
Bionda, bella, sposata, con tre figli, Hargot vive e lavora a Parigi, dove si è laureata in filosofia alla Sorbona. Ma nella Parigi dove i metrò sono tappezzati con “pubblicità-progresso” pro-aborto che inneggiano alla libertà dei diritti della donna, questa donna laicissima esprime un pensiero che coincide piuttosto con quello del magistero cattolico. Ne è consapevole? “Le mie riflessioni partono dall’osservazione della realtà e dall’esperienza umana”, dice. “Questo processo è sincero dentro di me, alcuni parlano della mia fede ma il mio rapporto con Dio è complicato e non c’entra. Ciò detto, amo la Chiesa cattolica perché rappresenta la religione dell’incarnazione. Dal momento che lavoro sul corpo, è la religione più interessante per me; trovo quest’intreccio di fede e ragione condivisibile e pieno di sapienza umana. Parlo dell’uomo e dell’umano ed è normale che mi ritrovi con quello che dice la Chiesa la quale, come diceva Paolo VI, è esperta in umanità”. Per Hargot, dunque, la liberazione sessuale conquistata negli anni Sessanta non ha liberato nessuno. Al contrario, ha deresponsabilizzato gli uomini e messo in crisi la loro mascolinità; ha virilizzato le donne e le ha abbandonate di fronte alla scelta di diventare madri; ancora, ha reso i giovani schiavi del diktat ‘bisogna avere relazioni sessuali il prima possibile’ compromettendone l’affettività. Ha inoltre frainteso l’importanza dei divieti, che servono per crescere liberi. Nei falli, il ‘vietato vietare’ del 68 si è rivelalo così una trappola. Per Thérèse non funziona nemmeno l’educazione sessuale che oggi c’è nelle scuole: propone mezzi cattivi per rispondere ai bisogni veri degli adolescenti, come quello di costruire la loro identità. “I ragazzi sono abitati da grandi questioni esistenziali: chi sono io? Qual è il senso della vita? Sono una persona amabile e unica? La riposta che gli adulti danno loro sono il preservativo e la pillola. Ed è chiaro che è un fallimento perché il preservativo e la pillola non sono risposte a questi interrogativi”. Con l’alcol e la droga, il sesso è diventato il loro rito d’iniziazione, ma sono tutte esperienze che non consolidano l’identità di uomini e donne; anzi, la rendono fragile e precaria. “Bisogna capire bene che aborto e contraccezione vanno insieme. La pillola del giorno dopo li garantisce la possibilità di poter avere rapporti sessuali quando vuoi e con chi vuoi, e le donne si permettono di avere rapporti oggettivamente a rischio. Perché se c’è un fallimento dell’atto contraccettivo, cosa che può accadere, si va semplicemente ad abortire”. Se la contraccezione è una falsa promessa, che rende gli atti sessuali irresponsabili, i metodi naturali diventano dunque il modo migliore per vivere responsabilmente la propria sessualità, oggi ridotta a una mera questione tecnica o meccanica, che esclude la cruciale dimensione affettiva. Ancora, Hargot mette sotto dura accusa l’industria pornografica, che impone a giovani ancora immaturi la sua visione della sessualità come esclusiva. La pornografia “ha fagocitato l’erotismo nel senso etimologico di ‘manifestazione del desiderio’ anche carnale. Quell’erotismo che risveglia la sensualità e il sentimento, mentre la pornografia li consuma e basta. Gli adolescenti ritengono spesso di poter padroneggiare tutto questo, ma ne sono in realtà dominati. Tutto ciò ha un legame con la perdita della trascendenza? La sessuologa non ha dubbi. “Lo vediamo nei rapporti di coppia odierni: non aspettiamo più che Dio ci salvi perché Dio non esiste, però ci aspettiamo che ci salvi nostro marito o nostra moglie. Ci aspettiamo che il partner sia tutto per noi, che sia Dio stesso. Chiediamo all’altro che ci faccia sentire amati e dia un senso alla nostra vita”. La delusione è inevitabile, la relazione diventa fragile, la rottura è la logica conseguenza. Agevolata da una società dove è svanito l’aspetto comunitario a vantaggio di un individualismo sfrenato, dominato dalla società dei consumi, anche affettivi e sessuali. C’è, infine, un altro aspetto. “Oggi non ci sono più punti di riferimento per orientarsi, mentre la religione diceva ciò che è permesso oppure no”, dice ancora Hargot. “La proibizione permette di costruire la nostra libertà. Senza punti di orientamento nella vita siamo perduti”. Chiesa madre e matrigna, si diceva un tempo. Ma senza la Chiesa madre che mostra la via e l’orizzonte cui tendere, dilagano lo smarrimento e la confusione.
(da il Settimanale della Diocesi n. 12 del 23 marzo 2017)