Mons. Oscar Cantoni nuovo Vescovo di Como
Editoriale “Aggrappati a Cristo” di don Angelo Riva
Capita a un prete di rincasare tardi, la sera, con buona parte del breviario ancora da dire. Allora afferra la custodia di pelle sgualcita, si fa il segno della croce e, prima di attaccare con salmi e orazioni, sussurra dentro di sé: “Attaccati Signore: perché adesso si va forte …” Chissà cosa rimbomba, nel cuore di un Vescovo, quando viene l’ora di congedarsi da quella Chiesa che è stata a lungo la sua sposa; oppure quando si accinge a prenderne possesso, come padre, maestro e pastore. Possiamo solo vagamente intuirlo: un guazzabuglio di sensazioni, un caleidoscopio di emozioni, immagini che si accavallano, la soprannaturale fede che traffica e si impasta con le strutture di una normale psicologia umana. Per chi va – come il Vescovo Diego – sono le tinte tenui di un tramonto che riavvolge il nastro dei ricordi: la confidenza di quel prete, la tenacia di quella famiglia, gli ammalati che era solito andare a trovare in casa durante la visita pastorale, “i bambini che mi riempivano la casa con i loro disegni e auguri “… Per chi arriva – come il Vescovo Oscar – è la sottile lama luminosa di un’alba che nutre attese e progetti per il futuro: i primi passi, le prime impressioni, i primi contatti da avere, le prime scelte da fare. E naturalmente le sfide che, come macigni, sono lì che attendono: le relazioni con e fra i preti (“l’incisività di un vescovo è proporzionata al grado con cui egli riversa la sua paternità nel presbiterio e ne promuove la vitalità “), alcune scelte pastorali coraggiose da consolidare (come i nuovi cammini di iniziazione cristiana), importanti decisioni economiche da prendere. Nel caso di “don Oscar” si tratta, poi, non di un arrivo, ma di un ritorno. Pioniere diocesano della pastorale vocazionale, dopo essersi fatto le ossa fra gelsi e filari del cremasco, ritorna per aiutare la Chiesa di Felice e Abbondio a riscoprire la propria chiamata. Conoscere già molto e molti – lo sappiamo – sarà per lui un vantaggio e insieme un ostacolo. Occorrerà un reset, un ripartire da capo, da parte di tutti. Per noi che lo accoglieremo non più come “don Oscar” ma come il successore degli Apostoli. E per lui che ritorna da padre in quella Chiesa della quale è stato e rimane figlio. Sembra paradossale, per uno che è costantemente sotto i riflettori della cronaca, è personaggio pubblico, ha l’agenda sempre ingolfata di incontri e appuntamenti, e non muove passo senza codazzo di segretari, tirapiedi e addettistampa al seguito: eppure un Vescovo è fondamentalmente un uomo solo. Solo col suo Signore, e la folla numerosa là fuori che aspetta. Il Vescovo sperimenta una solitudine inaccessibile, che galleggia sopra il vociare concitato di incontri, liturgie, commissioni e tutto lo sferragliare della mastodontica macchina ecclesiastica. E’ la solitudine con Cristo. Bagni oceanici di folla e frotte di collaboratori non riempiranno mai questo spazio di intimità. Non vale solo per il Vescovo, intendiamoci, ma per ogni battezzato, questo vis-a-vis con il Signore. Ma il Vescovo – prescelto da Cristo e poi inviato come Apostolo – lo sperimenta in modo singolare. Aggrappato a Cristo: ogni giorno, ma soprattutto quando un tratto di strada si chiude, oppure uno si apre pieno di incognite. Stasera addormentiamoci pensando ai nostri due Vescovi. Forse stavolta sarà Cristo a sussurrare a loro: “Diego, Oscar, attaccatevi, perché adesso si va forte …”