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“Al centro” o “in mezzo”?

Editoriale di don Angelo Riva da Il Settimanale della Diocesi di Como

Di certo non sarà come quando togli il gesso, e tutto torna come prima. Anche nelle nostre faccende di Chiesa, il lento ritorno alla normalità, dopo la scoppola del coronavirus, non potrà essere un semplice ripigliarci da dove ci eravamo lasciati. Così, come se nulla fosse successo. A vietarcelo non è solo la realtà (cambieranno molte cose), ma la nostra stessa fede storica: non è possibile infatti che, attraverso lo sballottamento cosmico del coronavirus, Dio non abbia voluto dirci qualcosa. Forse il Sinodo diocesano dovrebbe cominciare da qui. Si tratta però di cogliere l’insieme che lo shock del virus ha squadernato, e non solo dei singoli frammenti. Sicuramente qualche “frammento” lo abbiamo inquadrato: per es. che non esiste solo “la pastorale della Messa”, benché questa rimanga ovviamente il culmine e la fonte, ma ci sono anche le altre presenze di Cristo da valorizzare (la parola di Dio; la preghiera nelle case; la sacramentalità di desiderio; il povero che ci abita a fianco; la carità “gomito a gomito”); da qui la riscoperta e l’investimento sulla “Chiesa domestica”; oppure ancora le possibilità aperte dai nuovi mezzi di comunicazione sociale, per l’evangelizzazione come per la cura delle relazioni. Ma si tratta, appunto, di “frammenti”. L’”insieme”, invece, concerne l’interrogativo cruciale si chi è la Chiesa nel nostro tempo. E non si risponda che l’interrogativo è inutile, perché la Chiesa è poi sempre quella, e quindi si sbaglia ad insistere troppo sulla contingenza del nostro tempo: mi pare che anche il Verbo incarnato l’abbia preso molto sul serio, il suo tempo… Ora l’”insieme” ha uno slogan chiarissimo: la Chiesa della misericordia di Francesco. Dentro questo slogan, però, occorre scavare. Magari proprio partendo dalle fessure che le “scosse” del coronavirus hanno slabbrato nella crosta ecclesiale. Per esempio abbiamo capito – in questi giorni – che la Chiesa non è più il “centro”. Non sa tutto (c’è la scienza), non può tutto ( c’è la politica), non detiene più un indiscusso primato culturale. Non è più nemmeno nella condizione paternalistica di dialogare guardando l’uomo dall’alto al basso. No, non è più al centro. Però è ancora “in mezzo”. Eccome se lo è. Cammina con l’uomo, ne condivide i dolori e le angosce, le gioie e le speranze. Lotta e soffre, spera e incoraggia tutti. Pure il mondo se n’è accorto: quel mondo che si illudeva invulnerabile, grazie ai suoi potenti mezzi tecnologici. Si apre così, per la Chiesa, una via dolorosa, rispetto ai trionfalismi del passato, ma salutare. E lo sarà sempre di più. La via di riconoscere i propri limiti e la propria impotenza terrena(in questo senso “Chiesa povera”, non in senso banalmente pauperistico). Umile, non più centrale. Eppure ancora “in mezzo”, imbracciando la divina misericordia. Stando in mezzo, e “misericordando”, la Chiesa insegna la verità. Ma, specchiandosi nel suo Maestro, non catechizza più dall’alto, ma dal basso. Insegna mentre cammina insieme. Più precisamente la Chiesa vede sbocciare per sé una triplice chances, da questo suo stare in mezzo: 1) può accogliere tutto ciò che, fuori di essa, vi è di cristiano e di umano; 2) può correggere, alla luce della sua sapiente tradizione, ciò che è umanamente inquinato e deforme; 3) può testimoniare un cammino di pienezza e di trasfigurazione, nel quale essa stessa, pure, cammina.
Chiesa “in mezzo”, pane per il Sinodo.

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