Ma che cultura è mai se ci casca il morto?
Il 17 gennaio 2008 Renato Guarini, allora rettore dell’Università La Sapienza di Roma, aveva invitato Papa Benedetto XVI alla inaugurazione dell’anno accademico. Nei mesi precedenti, aveva comunicato la sua decisione al Senato accademico, incontrando le prime avvisaglie di ostilità. Papa Ratzinger, al termine della cerimonia, avrebbe dovuto rivolgere un saluto, in cui si parlava del corretto rapporto tra scienza e fede. Ma tanto bastò a sollevare polemiche infuocate. 67 docenti, più rappresentanti degli studenti, con un mirato fiancheggiamento da parte di giornali come Il Manifesto e Repubblica decisero che la cosa non si doveva fare. In nome della libertà ovviamente. Soprattutto della laicità, presidio e garanzia di rispetto verso il sapere scientifico e verso gli studenti, destinatali di tanto sapere. Undici anni dopo fa impressione pensare che accademici navigati ed esperti possano aver avuto paura di un pensiero cristiano conciliante portato da un uomo tra i più colti e dal pensiero più raffinato al mondo. Ma molto probabilmente dietro a quella che avvertirono come una sfida, in realtà si nascondeva soltanto un falso concetto di laicità, fatto di livore anticristiano. Una specie di religione pagana, che assegna al nulla il valore di Dio, in una logica talebana pronta a fare le guerre sante in nome della scienza. Dove la scienza non c’entra nulla, se non per dare patente di credibilità al vuoto di argomentazioni. Ma undici anni dopo, a fare ancora più impressione è la notizia di un ragazzo di 26 anni che muore dopo essersi reciso l’arteria femorale, mentre scavalca la cancellata per entrare dentro all’Università dove si tiene un rave party. Cosa si intenda per rave party non lascia margini alla fantasia. Musica e trasgressione in quelli che potremmo definire i nuovi riti orgiastici del paganesimo contemporaneo, saturnali, baccanali o dionisiaci che siano, dove, in nome del divertimento, si sospendono le regole del vivere, per sciogliere le corde al giubilo, come dicevano gli antichi. La direzione dell’Università ha fatto subito sapere che non si tratta di rave party, di non saperne nulla e di non aver mai autorizzato la manifestazione. Peggio la toppa del buco, si dice in Veneto. Se non ne sapevano niente come fanno a sapere che non era un rave party? E come può una Università consentire che al proprio interno si consumino feste con 2.500 persone senza che nessuno se ne accorga? E se qualcuno, come qualcuno se n’è accorto, non ha parlato, chi è che deve rispondere di quello che succede dentro le mura di un ateneo? La magistratura si sta interessando e c’è da sperare che non chiuda un occhio. Le voci di popolo dicono che queste feste si fanno da anni abitualmente, senza autorizzazione e garanzie di sicurezza varie. Così dicono i bene informati. Fintanto che non ci scappa il morto. Morto non per amore del sapere ma per una serata di trasgressione senza biglietto di invito, ma scavalcando una staccionata di ferro appuntito. Soprattutto dentro un tempio, del sapere, dove vorremmo pensare a giovani sereni e studiosi. Dove si ha paura della parola di un Papa, ma si finge di non vedere ciò che davvero dovrebbe far paura.
(da IL FATTO di Bruno Fasani)