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Congresso di Verona, un gadget di troppo

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Di «medioevo» ce n’era molto più ‘fuori’ per le strade di Verona o nelle dichiarazioni di qualche politico illuminato, che non ‘dentro’, nella sala del Convegno internazionale sulla famiglia. Se per «medioevo» intendiamo l’intolleranza, propria di chi non ascolta le ragioni degli altri.
Vediamo molti laici del nostro tempo auto-certificarsi patenti di tolleranza e assenza di pregiudizi, e fulminare infuocate fatwe di «medievalità» a chi la pensa diversamente da loro. Non è forse un argomento legittimo e serio ricordare che, nella libera decisione di abortire, c’è in gioco anche la vita di un bambino? Non è un argomento laico e illuminista dire che la legge 194 andrebbe attuata anche nella sua prima parte, quella della tutela sociale della maternità, che mira a tutelare insieme il bambino e la sua mamma? Non è un argomento civile e ragionevole affermare che la pratica della maternità surrogata offende una donna e defrauda un figlio?
E invece no: basta sfiorare questi argomenti (in un convegno … neanche fosse un decreto-legge!) e si scatena il finimondo. C’è un pasdaran nascosto sotto la pelle del laico illuminato. La libertà individuale è diventata un totem, un tabù intoccabile, un dogma sacrale. Se appena si prova a discuterla (con argomenti, per migliorarla), scatta un’idiosincrasia, un riflesso condizionato: «ritorno ai barbari, al medioevo» (sbagliando, tra l’altro: il Medioevo fu assai più e assai meglio).
Come se milioni di bambini mai nati, o la locazione della pancia per provvedere un figlio al desiderio di due uomini maschi, fossero credenziali di civiltà, anziché residuo di barbarie.
Detto questo, una critica cristiana conviene anche agli organizzatori del Convegno.
La strategia del muro contro muro ci fa uguali al mondo, e questo non va bene. Elmetto, trincea e schizzi velenosi di polemica alla lunga neanche pagano. Ci aizzano contro l’astio del mondo e quella cieca intolleranza di cui sopra, dunque non servono veramente alla buona causa della famiglia e della vita.
Certo, il cristianesimo non può non essere «segno di contraddizione», se no non avremmo mai avuto i martiri: alla mentalità del mondo bisogna fare il contro-pelo. Ma dobbiamo imparare ad essere divisivi con intelligenza e con amore.
Il Papa ci sta indicando tutta un’altra strada, che inquadra la verità nella misericordia, e la divisività nella ricerca e costruzione anzitutto di ciò che unisce. Se abbiamo a cuore vita e famiglia, sarebbe dabbenaggine abbandonare gli «spazi» della politica e delle leggi: ma «avviare processi» (di dialogo, di educazione, di inclusività) è più importante che «occupare spazi» (Evangelii gaudium 223).
Quella di Verona non è stata una pagina memorabile. Un simbolo? Il gadget con il feto di plastica. Nuda verità di ciò che è davvero l’aborto, ma certe carnevalate lasciamole volentieri al Gay Pride .

(Editoriale Settimanale diocesano)

 

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