off

Fatti più in là

uditoSarà uno dei temi caldi del prossimo Sinodo: l’«ora dei laici». In “ecclesialese” stretto si dice «corresponsabilità dei laici».
Più semplicemente basta rifarsi a una banale constatazione: quelle parrocchie che, rimaste senza parroco, si sono sedute sul letto di Procuste della nostalgia, o della recriminazione, sono ferme al palo, e vedono la desertificazione religiosa avanzare da ogni dove; viceversa quelle che si sono messe in gioco, facendo buon viso a cattiva sorte, sperimentano insospettabili fermenti di primavera. Gente uscita dal guscio, che si è rimboccata le maniche. Fedeli che si sono dati da fare, anziché attendere la venuta del messia. Col primo, ragguardevole risultato di vedere almeno la propria fede personale fare un bel balzo in avanti. Non occorre la sfera di cristallo per immaginare un futuro nel quale calano i preti, l’assioma tridentino «una parrocchia, un parroco» diventa vieppiù una chimera, e annaspano quelle realtà dove un laicato maturo e consapevole non è mai stato promosso. Nella nostra Chiesa di Como, per fortuna, non siamo all’anno zero, in tema di formazione e promozione del laicato. Ma molto resta ancora da fare. C’è però un punto sul quale sarà bene insistere fin da subito. Ed è la cura delle motivazioni che sostengono, e degli stili che accompagnano, i fedeli cosiddetti «impegnati». Qualche volta, infatti, si ha l’impressione di un corto-circuito fra l’impegno in parrocchia, che dovrebbe essere gratuito e disinteressato, e qualche irrisolta questione di riconoscimento personale (nessuno disdegna un po’ di evidenza, o un pizzico di celebrità); o della tentazione di fare del proprio servizio un piccolo feudo di potere. Da difendere con le unghie. Storia vecchia e ritrita: già gli Apostoli…
Al riguardo un piccolo test di autenticità del proprio impegno ecclesiale potrebbe essere questo: prepararsi un successore. Affinché quanto abbiamo iniziato venga poi portato avanti da qualcun altro (di solito meglio), e si possa noi preparare un’uscita di scena (a suo tempo) morbida, senza clamori, alla chetichella. Non si tratta affatto di una banalità: il «diventare progressivamente inutili» non corrisponde forse all’essenza stessa della missione educativa (s’intende: dopo aver trasmesso appieno la propria impronta)? Per esempio di un genitore. Sembra invece che, talvolta, la cosiddetta «ministerialità laicale» (detto sempre in “ecclesialese” stretto) corrisponda più o meno a una rendita di posizione, o a un vitalizio perpetuo, o a una satrapìa per diritto di nascita. Altre volte si creano strani circoli viziosi: uno va avanti ad oltranza, nel suo incarico pastorale, perché nessun sostituto si fa avanti; ma nessuno si fa avanti, perché il posto risulta già occupato. E ben presidiato. Forse non sarebbe male, ogni tanto, fare non dico «un passo indietro», ma almeno «un passo di lato»; fatti più in là. Onestamente bisogna dire che talvolta il cattivo esempio viene da noi preti. Quante volte ci è capitato di sentir dire – dal parroco appena trasferito – «il mio successore sta proprio lavorando bene»? Di solito quel che si sente è «sta distruggendo tutto quello che ho fatto». E quante volte ci è capitato di sentir dire – dal nuovo parroco appena arrivato in parrocchia – «non sai che disastro ho trovato»… Insomma: «fatti più in là».
Varrà anche per il direttore del Settimanale.
(Editoriale de ‘il Settimanale’ n. 9 del 28 febbraio 2019)

L'autore