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Tra pieno e vuoto

pieno vuoto

Perché abbiamo così paura del vuoto? Saturare ogni istante, organizzare le giornate, le attività, i momenti di svago… Se siamo soli, oppure vogliamo rilassarci, ci attacchiamo alla televisione, a internet (dipende dall’età, ma il bisogno è lo stesso) per lasciarci riempire da ciò che proviene da lì. Il vuoto ci spaventa, ci angoscia. Ma se non lasciamo nessuno spazio perché ciò che non abbiamo deciso, o chi non abbiamo scelto, possa raggiungerci e incontrarci, la nostra vita diventa sterile. Soprattutto se siamo pieni solo di noi stessi: dei nostri bisogni, della ricerca di ciò che ci fa stare bene senza preoccuparci di altro. Il vuoto non è il nulla. È ciò che, in tensione con la pienezza, costituisce la realtà. Tutto è tensione tra pieno e vuoto. Pensiamo alla scultura, perché la nostra vita in fondo è l’opera d’arte che possiamo lasciare al mondo: lo scultore lavora «togliendo», facendo emergere la forma scavando vuoti nella materia. «Il vuoto è all’origine del nostro essere scultori, non già il bisogno di innalzare statue», amava dire Giò Pomodoro. Lasciare spazio per ascoltare, per incontrare, per lasciarci rimettere in movimento dal desiderio di bellezza, di una pienezza che non può mai essere riempita: e qui sta la nostra libertà, il nostro essere vivi, in cerca, aperti al mondo. «Nel cuore di ogni uomo c’è un vuoto che ha la forma di Dio», scriveva il grande filosofo Pascal. «Vacanza» viene da «vuoto»: non riempiamo tutte le pause dal lavoro o dalla scuola di programmi e attività, ma lasciamo spazio al silenzio, all’incontro, ai regali inattesi che solo in uno spazio sgombro dal nostro io possono accadere.
Giaccardi Chiara

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